mercoledì 16 maggio 2012

The Golden Temple - Intervista ad Enrico Masi su Nanni Magazine

Londra 2012: "Sotto l'illusione della sostenibilità solo business e consumismo" - di Francesca Nanni
Il reportage indipendente di Enrico Masi, ricercatore universitario, è un riflettore puntato sul lato oscuro dei Giochi che, dice a NanniMagazine.it, "sono una delle macchine economiche più forti di spostamento di denaro e di costruzione urbanistica".


Sue Jackson, guida olimpica per un tour operator inglese, non ha dubbi: "Ospiteremo i Giochi per la terza volta con la promessa di rigenerare una delle aree più trascurate e povere, un luogo che i londinesi stanno iniziando a conoscere, che stanno iniziando a vedere come un posto divertente". E forse, almeno sulla carta, gli obiettivi iniziali degli organizzatori dei Giochi erano quelli di realizzare un evento sportivo partecipativo, sobrio, verde, inserito in un più ampio progetto di riqualificazione urbana. Di fatto, però, il modello di sostenibilità tanto propagandato sembra essere diventato un grande paravento che cela l'avanzata convulsa e bulimica del capitalismo moderno.

Le conseguenze di questo mutamento sociale e ambientale legate al cantiere delle Olimpiadi, alla costruzione del centro commerciale più grande d'Europa, fino alle nuove sette evaneglico-militari, sono state raccolte in 'The Golden Temple', un docu-film di denuncia no-budget prodotto dalla casa indipendente Caucaso Factory. Autore e regista è Enrico Masi, ricercatore della facoltà di Scienze della Formazione dell'Università di Bologna all'interno del quale è maturato questo progetto. Enrico vive a Londra ed è proprio lì che lo contatto per cercare di capire meglio di cosa stiamo parlando:

Enrico quando e per quale motivo è stato realizzato questo documentario?
"Il documentario, che è un lungometraggio di circa 70 minuti, è stato girato tra settembre 2011 e aprile 2012, nasce da una serie di ricerche accademiche, di temi di studio che stiamo portando avanti con il laboratorio della facoltà di Scienze della Formazione dell'Università di Bologna, ed è una co-podruzione tra Italia, Francia e Londra. Una delle motivazioni che mi ha spinto a realizzarlo è il fatto che io mi muovo spesso proprio tra queste tre realtà e vedo che all'estero è ancora assente l'idea dei Giochi in generale, soprattutto è assente la visione del cambiamento epocale che sta succedendo a Londra, quindi in Europa. Questa è una grande possibilità che ci viene offerta perché la passata edizione delle Olimpiadi è stata a Pechino nel 2008, quindi estremamente lontana dalla nostra realtà. Questa volta, si può dire che Londra ce l'abbiamo a portata di mano e quindi è più facile osservare cosa sta succedendo. Ed è questo quello che abbiamo cercato di raccontare".

E cosa sta succedendo a Londra oggi?
"Sta succedendo che con l'attuale crisi economica il comitato organizzatore ha dovuto per forza  passare il messaggio di un'edizione assolutamente sostenibile e attenta all'ambiente. Tutta la campagna per i Giochi è stata impostata su due parole 'sustainable' e 'legacy', quest'ultimo termine vuol dire 'lascito', quindi ciò che si costruisce che viene poi lasciato alla comunità locale che vive nell’area olimpica di Stratford, nell'Eat di Londra, che è grande quanto la città di Roma".

Il dubbio sulla sostenibilità dei Giochi è arrivata con il nuovo Stadio Olimpico, il primo dei tre "templi", che è stato costruito su un sito contaminato da scorie radioattive. Come siete arrivati a questa conclusione?
"Allora va detto che in quella zona ci sono diverse università che proprio sotto il terreno dove è stato eretto lo Stadio, avevano i loro piccoli reattori utilizzati per le loro ricerche negli anni passati. Come dice il fotoreporter inglese Mike Wells, che nel documentario denuncia proprio questa cosa sulla quale peraltro ha scritto numerosi articoli di inchiesta, alla fine qualcuno si è accorto della contaminazione radioattiva del sito solo dopo aver analizzato non il luogo dove stavano costruendo, bensì materiali di scarto già portati via man mano che i lavori andavano avanti. Il terreno doveva comunque essere bonificato, ma questo non è successo e la realizzazione dello stadio è andata avanti".


Il secondo "tempio" è il centro commerciale più grande d'Europa targato Westfield, da dove i visitatori dovranno passare per forza per poter raggiungere il parco olimpico, giusto?
"Esattamente. Prima di tutto il centro commerciale sorge proprio nei pressi della già frequentata stazione che oggi, per come è stata potenziata, è diventata una stazione di transito. Ora, per raggiungere il parco olimpico, le persone dovranno per forza passare all'interno del centro commerciale che si trova davanti alla stazione. I dati parlano del 65 per cento dei visitatori, sui circa 6 milioni stimati dagli stessi organizzatori dei Giochi. Il centro commerciale ha aperto i battenti già alla fine di settembre non senza qualche problema; alcune parti di esso, infatti, hanno chiuso subito dopo, proprio perché pensato e realizzato per una clientela numericamente ed economicamente molto corposa che al momento ancora non c'è".

Qual è a forzatura legata alla costruzione di questo edificio?
"La forzatura sta nell'associare palesemente la costruzione come quella di un centro commerciale ad un evento sportivo. E quello che ho cercato di spiegare nel documentario è proprio questo: oggi siamo ad un punto di svolta dell'era post-moderna che catapulta un qualsiasi spettacolo all'interno di un meccanismo commerciale permanente. Alla fine Westfield rimarrà comunque dopo le Olimpiadi. Quindi altro che modello sostenibile, verde, di lascito alla comunità: il vero modello è  quello consumistico, ed associare la sostenibilità al consumismo è estremamente pericoloso, soprattutto a questo livello che ha una risonanza molto potente, globale".

Il quartiere di Stratford, nell'Est di Londra, è prevalentemente popolare, come testimoniano edifici ed attività commerciali: dal punto di vista urbanistico come si è evoluta la situazione?
"È come se la comunità fosse stata demolita in un certo senso. Ti faccio un esempio: qui ci sono tre grattacieli, ognuno dei quali ha 350 appartamenti distribuiti su 22 piani, quindi parliamo di un migliaio di persone. Ecco, questi edifici li stanno svuotando perché non hanno fatto in tempo a demolirli prima dell'inizio dei lavori. Oggi in uno di questi palazzi, vivono ancora quattro famiglie. Noi siamo riusciti ad entrare in uno di questi e cerchiamo di far capire e vedere che tipo di atmosfera si respira. Tra l'altro con le Olimpiadi stanno lievitando anche i prezzi non solo degli appartamenti, ma anche delle attività commerciali. Nel documentario abbiamo raccolto proprio la testimonianza di un fioraio che abita e lavora nell'East London, ma è stato obbligato ad andarsene perché al posto del suo negozio apriranno un bar franchising, una campagna di immagine neutrale, una questione molto delicata nella cultura Inglese contemporanea. Quindi, anche per gli esercizi vale la stessa sindrome del centro commerciale".

Allora per quale target di abitanti è pensato questo "nuovo" quartiere?
"Per una nuova classe media, quella che qui chiamano 'gentry'. Questi 'nuovi abitanti arrivano dal processo di 'gentrificazione'[1] che sta subendo tutta l'area olimpica, ovvero il recupero di quartieri popolari e la 'sostituzione' dei loro abitanti con la nuova 'gentry', appunto. Un esempio a Roma è il quartiere del Pigneto: anche quella zona, se vogliamo, sta subendo lo stesso processo. La differenza con Londra sta nel fatto che l'Italia non è in preda alla paranoia capitalista come l'Inghilterra che, invece,  in questa paranoia c'è dentro da decenni, e il suo isolamento dal resto dell'Europa in questo caso è certamente negativo. Questo è quello che sta accadendo oggi a Stratford. Ora, sicuramente da questo fenomeno nascerà anche qualcosa di buono, si tratta comunque di zone dove magari si sviluppano spazi fruibili da molti, gallerie d'arte, ristoranti e ritrovi alternativi. Il problema sta nel fatto che si tratta di operazioni molto delicate perché da una parte, con il pretesto della sostenibilità si mandano avanti capitale e consumismo, dall'altra è una cosa estremamente drammatica per le persone che abitavano questi luoghi sentirsi esclusi dalla loro comunità".
Il terzo "tempio" doveva essere la moschea più grande d'Europa, ma alla fine il progetto di costruzione è stato abbandonato: puoi spiegarci per quale motivo?
"La moschea non è stata costruita perché in parte era un progetto esagerato, in parte perché non si sono trovati tutti i fondi che servivano per edificarla. E questa scelta di non realizzarla contrasta un po' con la tendenza e il vigore inglese che le costruzioni vanno avanti comunque e molto in fretta. Quindi l'idea di una costruzione religiosa è rimasta solo concettuale. Ti spiego meglio: qui a Londra si praticano molte religioni diverse e ci sono molte comunità praticanti che fuori dal centro commerciale distribuiscono i loro volantini informativi. Quindi il 'terzo tempio' non è altri che un raggruppamento ideale delle tante comunità religiose londinesi che, se messe insieme, occuperebbero lo stesso spazio simbolico della moschea che non c'è. Alcuni di questi credi possono essere anch'essi definiti post-modermi e spesso hanno anche un approccio violento. Un esempio di cui parliamo anche nel documentario è l'Apostolo Ben, un prete di origini ghanesi, capostipite di una di queste nuove comunità pentecostali carismatiche che veste da militare e inneggia le sue preghiere con toni da guerriglia. Ecco, questo è ciò che compone il 'terzo tempio'".

Tra le persone che avere intervistato, c'è n’è stata qualcuna che si è dettoa entusiasta di questo progetto di riqualificazione?
"Sì, Sue Jackson è una guida olimpica di Blue Badge, un tour operator ufficiale dei Giochi, e si occupa in particolare di accompagnare i turisti per visitare tutta la nuova area. Lei vive sempre in East London, ma in una parte più ricercata chiamata London Fields-Broadway Market, in cui i lavori di riqualificazione non sono arrivati e l'architettura urbana è rimasta quella di un tempo. Una zona di tendenza. Lei è una di quelle persone entusiaste di quanto realizzato, abbiamo utilizzato la sua intervista proprio all'inizio del documentario per fare da contro altare a quanto andavamo a mostrare. Sue è del parere che effettivamente i Giochi sono sostenibili perché i lavori hanno ripulito l'intera zona che prima era molto inquinata, degradata, piuttosto pericolosa. Secondo lei la riqualificazione ha dato lavoro a diecimila persone, ha creato possibilità di incontri artistici e salvato la zona".



Da chi è composto il team che insieme a te ha realizzato questo documentario denuncia?
"Per l'appoggio giornalistico e logistico sicuramente il gruppo intorno a Games Monitor, ovvero il blog creato da attivisti, di storici, giornalisti e intellettuali, è l'organo principale che da anni fa monitoraggio sull'altro lato delle Olimpiadi. A questo gruppo appartengono Mike Wells, il fotoreporter che nel documentario denuncia quanto sta accadendo a Londra e Julian Cheyne, storico che ci ha aiutati nella ricostruzione degli eventi. L'appoggio scientifico è della mia facoltà di Scienze della Formazione dell'Università di Bologna e di altri antropologi tra i quali David Garbin dell'Università del Kent, oltre che il consiglio di Matilde Callari Galli da Bologna. Il supporto tecnico-cinematografico è di due realtà indipendenti che realizzano documentari che hanno creduto nel progetto".
Vi ricordiamo che è possibile sostenere il documentario The Golden Temple attraverso una campagna di editoria collettiva su Produzioni dal Basso: