Ecco qui una interessante recensione del film "The Museum of Wonders", pubblicata da Luca Ruocco sul sito "In Genere".
Un luogo indefinito, per dimensioni e valenza, freak show e palco di varietà, teatro lirico e casa famiglia, circo e museo: il Museum of Wonders è tutto questo, le sue stanze si creano e si distruggono, assecondando gli umori dei protagonisti, intrappolandoli o portandoli ad incontrarsi. Le creature che abitano il museo, goffe e incomplete, sembrano i parassiti aggrappati alle sue mura, più che i reali padroni del luogo. “Diversi”, ma profondamente umani, fin nelle imperfezioni dell’animo, che sono esteriorizzazione di un corpo che ha rifiutato l’umanità, provando ad imitare l’imperfezione del monstrum.
Marcel [Fabiano Lioi] è il direttore del museo: la sua statura, piccola e minuta, non riesce, però, a contenere la passione che Salomè [Valentina Mio], la maga, ha acceso nel suo cuore. La relazione tra i due nasce clandestinamente; avvolto mortalmente nelle spire di una desiderata voluttà carnale, Marcel inizia a dilapidare il capitale lasciatogli in eredità dalla nonna [Maria Grazia Cucinotta], e a trascurare il freak show.
Salomè inizia ad occupare con arroganza i suoi pensieri, fino a condurlo nella trappola di un matrimonio di convenienza. La donna è infatti interessata unicamente ai suoi soldi: non interrompe la laida relazione con Sansone, l’uomo forzuto [Francesco Venditti], e continua a disprezzare profondamente le “diversità” dei suoi coinquilini, occultando la mostruosità del suo spirito con l’oscenità manifesta degli artisti del museo. Accecato dall’apparente perfezione della donna che crede di amare, Marcel rischia di vedere andare a rotoli il suo piccolo regno e, con lui, la felice realtà di tanti altri sfortunati.
The Museum of Wonders [2010] è il secondo lungometraggio di Domiziano Cristopharo, regista del panorama indipendente romano, che ha iniziato a far parlare di sé e del suo cinema già con il precedente House of flesh mannequins [2009], thriller a tinte molto forti anche questo, ambientato in un luogo liminale, abitato da attori, performer e pornostar, che proprio per il suo essere fondato su azioni sospese tra il vero e la finzione, aveva fatto parlare di primo reality movie della storia del cinema.
The Museum of Wonders si differenzia marcatamente dal suo predecessore, innanzitutto perché non si tratta propriamente di un film di Genere, ma più di una fiaba grottesca, felliniana, che trae spunto dal Freaks di Browning, per distanziarsene volontariamente attraverso forti scelte autoriali.
Come già dimostrato nel suo precedente lavoro, il cinema di Cristopharo vive di emozioni forti, estreme, che si traducono grazie ad una reale abilità nel concretizzare una visionarietà fervida in messe in scena dall’indiscutibile bellezza visiva, assicurate da una perizia non da tutti nella ricerca della perfetta armonia [anche nell’eclettismo] tra le scene, i costumi e la fotografia.
Punto forte di The Museum of Wonders è l’assoluta indipendenza dello stile di regia, che con fermezza sa andare oltre i canoni più di moda, per prendersi tempi più personali e cercare i giusti raccordi, creando un ritmo più fluente, adatto all’ambiente onirico in cui Domiziano Cristopharo mette in scena la sua opera.
L’assolutezza teatrale che regna nello script, si traduce in una messa in scena nuova, forse proprio perché poco filmica, potendo contare anche su un cast quasi sempre a suo agio in una recitazione straniata, se pur profondamente legata agli umani sentimenti.
Qualche pecca, a livello attoriale, si può trovare nelle stonature di alcuni degli interpreti, Venditti in primis, la cui monoliticità trascende dalla dovuta distanza imposta dal testo.
A queste fanno da contraltare scelte interpretative più felici, come quella del protagonista Fabiano Lioi e di Nancy De Lucia [la Venere senza gambe]. Accanto ad attori alla loro prima esperienza importante, nomi noti della nostra cinematografia come Maria Rosaria Omaggio, Venantino Venantini e Giampiero Ingrassia.
La sceneggiatura firmata da Elio Mancuso rappresenta, per certi versi, un punto dolente: regista e autore decidono di sperimentare anche in scrittutra, costruendo un film importante come The Museum of Wonders su un testo che rimane sino alla fine troppo “scritto”, sia chiaro non “scritto male”, tutt'altro, la sceneggiatura si muove sempre su toni e significanti davvero alti. Il fatto che non convince è che, in questo modo, tutto assuma un tono troppo letterario, non discorsivo. Peccato, perché proprio questo particolare rende un pò più difficoltoso il relazionamento tra il pubblico e un’opera filmica di grande portata per la cinematografia indipendente italiana, ascrivibile al Genere per la naturale propensione del regista al gore di alcune scene, ma che trascende con naturalezza, diventando dramma.
Il secondo film di Domiziano Cristopharo ha già completato la sua tournèe per i festival internazionali, conquistando molti riconoscimenti, tra cui, in patria, un premio della giuria proprio durante la scorsa edizione del Fantafestival. Quest’anno ne ha aperto la XXIesima edizione con la prima delle serate di Aspettando il Fantafestival, presso il Cinema Nuovo Aquila a Roma.
Luca Ruocco